Quando realtà e mito passano attraverso
il prisma di un’immaginifica mente, il risultato non può che essere
affascinante e originale.
Almaty,
Kazakhstan, 21° secolo
[…]
Ora
Elena era ferma all’inizio della Lenina, con lo sguardo rivolto a sud. Le
montagne erano ricoperte da nubi vaganti. Il suo cappotto era fradicio e anche
le sue scarpe erano bagnate, ma sempre meglio che avere dell’altra neve. I fitti
canali di scolo che portavano l’acqua in eccesso giù dalle montagne correvano
pieni fino all’orlo, così che sembrava che ogni strada fosse delimitata da uno
stretto ruscello. Gli alberi, ora liberi dal peso della neve, erano incurvati
dalle gocce di pioggia. E il cielo stava oscurandosi ancora, pesante di nuvole.
Elena
si mise sulla strada per trovare un passaggio, ma tutti sfrecciavano a casa
prima dell’imminente acquazzone. Forse se si fosse sbrigata, o se avesse
trovato un riparo… poi il pensiero della cattedrale le balenò nella mente. Non
era lontana. Elena riprese a camminare ed era quasi dall’altra parte del parco
quando iniziò il diluvio. Si riparò sotto i rami di un abete per riprendere
fiato. Il temporale era arrivato così in fretta, doveva aver corso giù dalle
cime delle montagne. Sperò di non essere di fronte a una primavera bagnata.
Sopra
di lei, qualcosa frusciò tra i rami. Elena alzò lo sguardo, aspettandosi di
vedere uno scoiattolo o una gazza ladra, ma non c’era niente. Una pioggia di
gocce le spruzzò il viso, facendola sobbalzare. Elena scrutò tra i rami
dell’albero e qualcosa sibilò. Allarmata, Elena inciampò. Vide un volto tra i
rami, sottosopra: occhi scintillanti dalle pupille a punta di spillo e una fila
di denti ad ago. Stava venendo giù dall’albero, avanzando lungo il tronco come
un furetto, ma delle dimensioni di un essere umano.
Elena
gridò di terrore. Poi si voltò e corse, con i piedi che la portavano via da
quella cosa sull’albero. Scivolò sulla strada bagnata e quasi cadde, ma non si
fermò a guardarsi alle spalle fino a che non raggiunse il limite del parco.
Non
c’era niente dietro di lei. Il parco era bagnato e vuoto. Una donna con la
busta della spesa la stava guardando fisso.
‘Dyevushka? Tutto bene?’
‘C’era qualcuno sugli alberi. Ho
creduto volessero aggredirmi’. Si sedette pesantemente sul muretto che correva
lungo il margine del parco. La donna fece schioccare la lingua.
‘Il parco è pieno di drogati,
ubriachi, chi sa cos’altro. In cerca di soldi forse. Ti hanno fatto del male?’
Elena
scosse la testa
‘Bene, ma
non andare là di nuovo, nemmeno di giorno’. La donna teneva stretta la sua
borsa della spesa come se Elena potesse provare a portargliela via. ‘Non so dove
andrà a finire questa città’.
Ancora
sconvolta, Elena annuì e la donna proseguì . Ma aveva ragione. Doveva esser
stato qualche pazzo, guidato dal folle impulso di arrampicarsi su un albero.
Ora che ci ripensava, il viso le era sembrato di donna. Forse doveva essere uno
dei poveretti del manicomio, dimessi perché le loro famiglie non potevano più
permettersi una cura. Le sembrò la spiegazione più probabile.
Stava
piovendo sul serio ora, e i capelli di Elena erano attaccati al suo viso. Scappò
in mezzo alla strada, schivando il traffico, e raggiunse l’area di fronte al
mercato. Sul luogo c’erano file di bancarelle che vendevano qualsiasi cosa:
pesce secco dei laghi kirghisi, batterie, radio, un’aquila impagliata. Cercando
di tenersi sotto le tende, Elena si affrettò verso il fabbricato principale del
mercato, oltre la porta.
Si ritrovò
nella parte della verdura, di fronte a bancarelle piene di verdure, peperoni,
melanzane, mele. Fu assalita subito dalle grida dei venditori: ‘Cosa vuoi, dyevushka? Uva sultanina? Arance?’
Denti d’oro
lampeggiarono. Elena si domandò quante di quelle donne avessero una laurea.
Avrebbe scommesso che almeno la metà fosse diplomata. Sorridendo, scuoteva la
testa e si faceva strada attraverso le bancarelle della verdura, oltre secchi
di latte e cumuli di burro, verso il mercato della carne. Dietro c’erano
bancarelle che vendevano vestiti. Avrebbe dato giusto un’occhiata veloce. Forse
per quell’ora la pioggia avrebbe smesso.
A sinistra,
in alto sul tetto del mercato, ci fu un improvviso e veloce movimento. Elena
guardò fisso, ma non c’era nulla. Doveva esser stato uno scherzo della luce
sotto la pioggia, che filtrava attraverso la copertura di plastica del
soffitto. Si trovava nel reparto della carne ora. Una fila di salsicce kielbasy era appesa rosseggiante a dei ganci,
circondata da grosse fette di carne di montone. Girando l’angolo della
bancarella, Elena si trovò a faccia a faccia con il cranio scorticato di un cavallo:
le orecchie ancora tese, gli scuri occhi sbigottiti contro il bianco scoperto.
La donna dietro il bancone fece un cenno alla testa.
‘È fresca di
giornata. Ne vuoi un po’?’
Elena
scosse la testa e passò oltre la fila. Diede uno sguardo furtivo alla volta
offuscata sopra la sua testa. Nient’altro che ombre. Quello che era accaduto al
parco l’aveva innervosita, rendendola tesa. Cerca
di controllarti, pensò. Smettila di
sobbalzare per cose che non ci sono.
Superò le
porte alla fine del mercato, verso l’affollato settore degli indumenti. Elena
osservava la merce ma c’era poco di interessante: prodotti cinesi scadenti da
oltre il confine, un paio di cose dalla Russia. Era più interessata ai
campionari, che promettevano una via di mezzo tra i vestiti importati di scarsa
qualità e i costosi abiti in stile occidentale venduti in grandi magazzini come
TSUM. Elena aveva letto che le città canadesi avevano più di un unico grande
magazzino. Sarebbe stato carino avere più scelta.
Lasciandosi
gli abiti alle spalle, uscì nel passaggio che portava alla strada. I gradini
erano scivolosi per la pioggia, ma c’era una luminosità oltre le porte a vetro
che suggeriva che il temporale era finito.
Elena avanzò
di un passo. Dita sottili si serrarono salde sulla sua bocca e una presenza
sibilante la trascinò indietro. Stava affogando, andando giù nella pioggia, un
fiume le si chiudeva sopra la testa, acqua rosso sangue che allontanava le
stelle distanti.
[fine del quarto capitolo della seconda parte]
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