martedì 8 luglio 2014

Liz Williams - Nine Layers of Sky (prima parte)



Quando realtà e mito passano attraverso il prisma di un’immaginifica mente, il risultato non può che essere affascinante e originale.







Almaty, Kazakhstan, 21° secolo
[…]

Ora Elena era ferma all’inizio della Lenina, con lo sguardo rivolto a sud. Le montagne erano ricoperte da nubi vaganti. Il suo cappotto era fradicio e anche le sue scarpe erano bagnate, ma sempre meglio che avere dell’altra neve. I fitti canali di scolo che portavano l’acqua in eccesso giù dalle montagne correvano pieni fino all’orlo, così che sembrava che ogni strada fosse delimitata da uno stretto ruscello. Gli alberi, ora liberi dal peso della neve, erano incurvati dalle gocce di pioggia. E il cielo stava oscurandosi ancora, pesante di nuvole.
            Elena si mise sulla strada per trovare un passaggio, ma tutti sfrecciavano a casa prima dell’imminente acquazzone. Forse se si fosse sbrigata, o se avesse trovato un riparo… poi il pensiero della cattedrale le balenò nella mente. Non era lontana. Elena riprese a camminare ed era quasi dall’altra parte del parco quando iniziò il diluvio. Si riparò sotto i rami di un abete per riprendere fiato. Il temporale era arrivato così in fretta, doveva aver corso giù dalle cime delle montagne. Sperò di non essere di fronte a una primavera bagnata.
            Sopra di lei, qualcosa frusciò tra i rami. Elena alzò lo sguardo, aspettandosi di vedere uno scoiattolo o una gazza ladra, ma non c’era niente. Una pioggia di gocce le spruzzò il viso, facendola sobbalzare. Elena scrutò tra i rami dell’albero e qualcosa sibilò. Allarmata, Elena inciampò. Vide un volto tra i rami, sottosopra: occhi scintillanti dalle pupille a punta di spillo e una fila di denti ad ago. Stava venendo giù dall’albero, avanzando lungo il tronco come un furetto, ma delle dimensioni di un essere umano.
            Elena gridò di terrore. Poi si voltò e corse, con i piedi che la portavano via da quella cosa sull’albero. Scivolò sulla strada bagnata e quasi cadde, ma non si fermò a guardarsi alle spalle fino a che non raggiunse il limite del parco.
            Non c’era niente dietro di lei. Il parco era bagnato e vuoto. Una donna con la busta della spesa la stava guardando fisso.
Dyevushka?  Tutto bene?’
‘C’era qualcuno sugli alberi. Ho creduto volessero aggredirmi’. Si sedette pesantemente sul muretto che correva lungo il margine del parco. La donna fece schioccare la lingua.
‘Il parco è pieno di drogati, ubriachi, chi sa cos’altro. In cerca di soldi forse. Ti hanno fatto del male?’
Elena scosse la testa
‘Bene, ma non andare là di nuovo, nemmeno di giorno’. La donna teneva stretta la sua borsa della spesa come se Elena potesse provare a portargliela via. ‘Non so dove andrà a finire questa città’.
Ancora sconvolta, Elena annuì e la donna proseguì . Ma aveva ragione. Doveva esser stato qualche pazzo, guidato dal folle impulso di arrampicarsi su un albero. Ora che ci ripensava, il viso le era sembrato di donna. Forse doveva essere uno dei poveretti del manicomio, dimessi perché le loro famiglie non potevano più permettersi una cura. Le sembrò la spiegazione più probabile.
Stava piovendo sul serio ora, e i capelli di Elena erano attaccati al suo viso. Scappò in mezzo alla strada, schivando il traffico, e raggiunse l’area di fronte al mercato. Sul luogo c’erano file di bancarelle che vendevano qualsiasi cosa: pesce secco dei laghi kirghisi, batterie, radio, un’aquila impagliata. Cercando di tenersi sotto le tende, Elena si affrettò verso il fabbricato principale del mercato, oltre la porta.
Si ritrovò nella parte della verdura, di fronte a bancarelle piene di verdure, peperoni, melanzane, mele. Fu assalita subito dalle grida dei venditori: ‘Cosa vuoi, dyevushka? Uva sultanina? Arance?’
Denti d’oro lampeggiarono. Elena si domandò quante di quelle donne avessero una laurea. Avrebbe scommesso che almeno la metà fosse diplomata. Sorridendo, scuoteva la testa e si faceva strada attraverso le bancarelle della verdura, oltre secchi di latte e cumuli di burro, verso il mercato della carne. Dietro c’erano bancarelle che vendevano vestiti. Avrebbe dato giusto un’occhiata veloce. Forse per quell’ora la pioggia avrebbe smesso.
A sinistra, in alto sul tetto del mercato, ci fu un improvviso e veloce movimento. Elena guardò fisso, ma non c’era nulla. Doveva esser stato uno scherzo della luce sotto la pioggia, che filtrava attraverso la copertura di plastica del soffitto. Si trovava nel reparto della carne ora. Una fila di salsicce kielbasy  era appesa rosseggiante a dei ganci, circondata da grosse fette di carne di montone. Girando l’angolo della bancarella, Elena si trovò a faccia a faccia con il cranio scorticato di un cavallo: le orecchie ancora tese, gli scuri occhi sbigottiti contro il bianco scoperto. La donna dietro il bancone fece un cenno alla testa.
‘È fresca di giornata. Ne vuoi un po’?’
Elena scosse la testa e passò oltre la fila. Diede uno sguardo furtivo alla volta offuscata sopra la sua testa. Nient’altro che ombre. Quello che era accaduto al parco l’aveva innervosita, rendendola tesa. Cerca di controllarti, pensò. Smettila di sobbalzare per cose che non ci sono.
Superò le porte alla fine del mercato, verso l’affollato settore degli indumenti. Elena osservava la merce ma c’era poco di interessante: prodotti cinesi scadenti da oltre il confine, un paio di cose dalla Russia. Era più interessata ai campionari, che promettevano una via di mezzo tra i vestiti importati di scarsa qualità e i costosi abiti in stile occidentale venduti in grandi magazzini come TSUM. Elena aveva letto che le città canadesi avevano più di un unico grande magazzino. Sarebbe stato carino avere più scelta.
Lasciandosi gli abiti alle spalle, uscì nel passaggio che portava alla strada. I gradini erano scivolosi per la pioggia, ma c’era una luminosità oltre le porte a vetro che suggeriva che il temporale era finito.
Elena avanzò di un passo. Dita sottili si serrarono salde sulla sua bocca e una presenza sibilante la trascinò indietro. Stava affogando, andando giù nella pioggia, un fiume le si chiudeva sopra la testa, acqua rosso sangue che allontanava le stelle distanti.


[fine del quarto capitolo della seconda parte]
 

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