Il nuovo numero
della collana Visioni, Edizioni Hypnos, è ormai in arrivo.
Dopo Livia Llewellyn, Steve Rasnic Tem e
Laird Barron è la volta di Nathan
Ballingrud con Il nero visibile. Questo
numero vede il mio contributo come traduttrice. Trovo sempre molto interessante
approfondire la conoscenza dell’autore di cui mi occupo, e ringrazio Nathan
Ballingrud per l’intervista che segue.
Nato in
Massachusetts nel 1970, ha trascorso gran parte della sua vita nel sud degli
Stati Uniti. Ha studiato Letteratura all’Università del North Carolina e di New
Orleans. La sua prima raccolta di racconti – North American Lake Monsters: stories, edita dalla Small Beer Press
– ha vinto lo Shirley Jackson Award ed è risultata finalista ai World Fantasy,
British Fantasy, e Bram Stoker Award.
Tra le altre pubblicazioni, suoi racconti sono apparsi in Naked City: Tales of Urban Fantasy, Lovecraft Unbound, e Inferno:
New Tales of Terror.
Idealmente,
iniziamo dalla fine dell’articolo di presentazione di Nathan Ballingrud a cura
di Andrea Bonazzi nel numero 5 di
Hypnos. L’articolo introduce la traduzione, sempre di Bonazzi, di I mostri del cielo, racconto con il
quale l’autore vince lo Shirley Jackson
Award nel 2007 come miglior short-story,
che verrà poi inserito nella raccolta North
American Lake Monsters: stories, anch’essa insignita nel 2014 dello Shirley Jackson Award, nella categoria miglior antologia personale.
I mostri del cielo è un racconto duro,
che trasuda sofferenza, in modo più crudo di quanto non faccia Il nero visibile. Entrambi hanno al
centro la complessità delle relazioni umane, presentano uomini e donne veri,
reali, come del resto tipico di tutta la sua produzione. Se mettiamo a
confronto in particolare i protagonisti maschili delle due storie, Brian di I mostri del cielo e Will di Il nero visibile, notiamo che ci
troviamo di fronte a due uomini fragili, non pienamente in grado di prendere in
mano la propria vita, uomini che hanno bisogno di rifugiarsi nell’alcool,
finché l’evento soprannaturale non giunge a cambiare per sempre il resto della
loro vita. Le figure femminili invece sono diverse: la moglie di Brian, Amy in I mostri del cielo è una donna indurita
dalla vita, egoista, mentre le due figure femminili, entrambe protagoniste in Il nero visibile, Carrie e Alicia, si
mostrano più assennate, “nel giusto” verrebbe da pensare, razionali e comunque
capaci di dolcezza. Si tratta in entrambi i casi di letture che mettono a disagio,
in cui la realtà è a tratti più sconvolgente di qualsiasi orrore
sovrannaturale. E ben si adatta anche a Il
nero visibile quanto osservato da Bonazzi per I mostri del cielo: “Il mostro è già sepolto dentro, e il
perturbante giunto dall’esterno si limita a costringerci a un confronto infine
ineludibile”.
Il nero visibile è una novella
pubblicata da This is Horror a marzo 2015.
È la storia di un
uomo chiamato Will e della sua discesa nell’incubo. Lavora in un bar di New
Orleans. Dopo una violenta rissa nel suo bar, Will ritrova un cellulare che
decide di tenere in attesa che il proprietario torni a riprenderlo. Ma tutto
improvvisamente cambia, e hanno inizio i messaggi. Will ha scoperto qualcosa di
indescrivibile, che si sta pian piano trascinando verso la luce.
Realtà e orrore: quando, nelle tue storie, l’una inizia a scivolare
nell’altro?
N.B. Credo che siano intrecciati sin
dall’inizio. Nella maggior parte delle mie storie, l’orrore proviene dalle
persone; il soprannaturale serve a farlo spiccare, in modo che i protagonisti
se ne rendano infine conto. In alcuni casi, il soprannaturale offre una via di
fuga dall’orrore. Ne Il nero visibile, l’orrore
soprannaturale è un’espressione esteriore del grottesco interiore.
Una delle cose che mi ha colpito
di più è stata la presenza di un concetto base che permea Il nero visibile,
racchiuso nel termine “vuoto”. Questa parola non solo ricorre molte volte, ma
possiamo anche trovarla nel titolo di una poesia citata dalla ragazza del
protagonista, Carrie: sta scrivendo un articolo su Gli uomini vuoti di T.S.
Eliot. Si tratta in sostanza di una poesia sul senso di vacuità causato dalla
condizione del mondo moderno, in cui si vive in modo egoistico senza essere in
grado di distinguere tra il bene e il male. Ho pensato dunque che la citazione
non fosse affatto casuale, ma che questo senso di vuoto, di vacuità, fossero
aspetti e sentimenti che appartengono in particolare al protagonista, Will. Ho
inoltre pensato che la poesia di Eliot fosse stata una sorta d’ispirazione per
questo racconto, sbaglio?
N.B.
Hai perfettamente ragione sui motivi della sua inclusione. Il tema della
vacuità è qualcosa che volevo toccare in modi diversi, e ho ritenuto che la
poesia di Eliot potesse esserne un utile indice, un chiaro segnale per il
lettore. Ad ogni modo, non è stata l’ispirazione della storia. Quando pensavo a
Carrie – a che tipo di persona potesse essere, a cosa volesse dalla sua vita, a
come lei e Will affrontassero i loro scontri e le loro compatibilità – sapevo
di volerla rendere una studentessa piuttosto seria. Così ho pensato di
includere il riferimento a Gli uomini
vuoti. Stavo quasi per levare il riferimento per paura che andasse un po’
troppo sul pesante.
Come è nata l’idea per questa
storia? Qual è stata la scintilla che ha dato vita a Will, e quanto della tua
precedente esperienza come barista a New Orleans possiamo ritrovarvi?
N.B.
Will è la fusione di molta gente che conoscevo a New Orleans, e forse ha
molto più di me di quanto voglia ammettere. Le persone egoiste non mancano mai,
così come non manca mai chi prende la propria vita non seriamente. Ciascuno di
noi ha delle caratteristiche negative, ma per lo più non riteniamo che siano
queste caratteristiche a definirci, sempre se poi le consideriamo. Wil è così.
È un ragazzo carino, e lascia che questo lo distragga dai suoi preoccupanti
difetti, vale a dire, l’incapacità di immedesimarsi sinceramente in chi gli sta
intorno.
Ho trovato molto interessante il
contrasto che crei, da un lato, tra la repulsione naturalmente provocata – non
solo nel protagonista – dalle blatte e la loro quasi innata dolcezza,
delicatezza, e dall’altro, il contrasto tra l’apparente aspetto pulito e
piacevole dei ragazzi del college e il loro nascondere in realtà un’abiezione
interiore marcia e virale.
N.B.
Le blatte sono la metafora del marcio dentro i personaggi. Quando vedi una
blatta, sai che è soltanto il segno che molte altre si nascondono nei muri. È
facile ignorarle però, se non devi guardarle costantemente. Volevo che l’idea
degli scarafaggi servisse al lettore come “puntellatura” della storia. Quando
vediamo i ragazzi del college così ammodo – e anche quando vediamo Will –
vediamo in realtà gente indottrinata nella società, che ci passa accanto ogni
giorno senza creare orrore o repulsione. L’abiezione è nascosta. Ma alla fine
sciama tutto fuori, proprio come fanno le blatte. Penso questo valga sia per la
società che per la gente, o per gli insetti.
Violenza e vergogna, e vacuità,
come abbiamo detto, sembrano quasi tangibili, quasi altri personaggi della
storia. Puoi dirci qualcosa a proposito del tuo modo di scrivere?
N.B. Sono contento di sentirtelo dire.
L’atmosfera che quei sentimenti creano è proprio quello che speravo rendesse la
storia interessante. È sempre una cosa positiva avere una grande metafora per
l’idea che cerchi di trasmettere, ma se non alletta, non ha molto senso. Quando
scrivo una storia come questa, cerco di decidere prima un paio di aspetti
fondamentali: qual è il punto cruciale emotivo e qual è il tono della storia.
Con Il nero visibile sapevo di volere
un’atmosfera pesante e oscura. Doveva esserci un senso di minaccia
indefinibile, una paura di qualcosa di indistinto e difficile da capire.
Un espediente narrativo che trovo molto interessante è quello del libro
dentro un altro libro. In questo caso, fa la sua comparsa un libro misterioso, La
Seconda Traduzione di Ferite, che porta
quasi alla pazzia Carrie. Sembra vi sia intorno una sorta di mitologia o di
strano culto… pensi possa essere magari uno spunto per un’altra storia?
N.B. Potrebbe! L’ho inserito perché
piace anche a me come espediente, mi piace le possibilità che suggerisce.
Salterà sicuramente fuori ancora, anche se per il momento non so come o quando.
Cos’è il Weird per Nathan Ballingrud? E come descriveresti quello che
scrivi?
Faccio sempre fatica
in questi casi perché tendo a rifuggire da domande su tassonomie narrative, o
dalle definizioni. Quando penso a cosa sia il weird o cosa sia l’horror
concentro l’attenzione sulle linee di confine che queste parole implicano, e
questo interrompe il mio procedimento quando lavoro a qualcosa. Sono stato
definito scrittore horror, dark fantasy, weird, e va bene. Alcuni scrittori sguazzano in questo tipo di
discussioni, dà loro energia per le loro opere. Non vale per me però. Penso sia
meglio lasciare che altri decidano cosa sono. Io voglio soltanto concentrarmi per
scrivere le storie.
Che cosa pensi della situazione attuale della narrativa weird e horror
nel tuo paese? Ci sono altri scrittori in particolare, sia nell’editoria
mainstream che in quella delle piccole realtà, che apprezzi in modo particolare
e ti piacerebbe consigliarci?
N.B. Credo che sia il weird che l’horror stiano attraversando un periodo molto florido al momento. Le
piccole case editrici meritano un enorme rispetto per le condizioni ottimali
che stanno assicurando a questi generi. Le community
che si stanno raccogliendo loro intorno, per la maggior parte, danno un grande
supporto ad entrambi. Ciò ha consentito espressioni più esoteriche e
avventurose nell’horror e nel weird, cosa che a sua volta rinforza la
salute del settore.
Sono così tanti
gli scrittori da consigliare! Farò in modo che la lista sia gestibile ad ogni
modo. Parto da Leni Zumas. Ha
scritto il romanzo The Listeners e
una raccolta di racconti intitolata Farewell,
Navigator. Un nuovo romanzo – Red
Clocks – è in pubblicazione. Le sue storie sono strane, divertenti e
tristi, e spero che abbia l’enorme numero di lettori che merita. Un’altra
scrittrice che non posso non raccomandare è Julia Elliot, autrice di un romanzo e di una raccolta di racconti,
rispettivamente The New and Improved
Romie Futch e The Wilds. Ha una
tra le prose più belle della letteratura americana, e le sue storie sono nello
stesso tempo bizzarre, divertenti e orripilanti. Sono molto geloso di lei. Per
chi è in cerca di qualcosa di davvero oscuro ho due nomi: Livia Llewellyn, che ha all’attivo due raccolte di racconti – The Engines of Desire e Furnace e Matthew M. Bartlett, autore di due strane raccolte di racconti su una
stazione radio che trasmette da una città del New England infestata da streghe,
intitolate Gateways to Abomination e Creeping Waves. Si tratta di due dei
migliori e più originali scrittori di narrativa horror attuale.
Puoi
raccontarci qualcosa sui tuoi progetti futuri?
N.B. Sto ultimano una novella per la
mia ultima raccolta di storie che s'intitolerà The
Atlas of Hell e che sarà pubblicata all’inizio del 2018. Lavoro anche a un
romanzo su una colonia su Marte negli anni Trenta, e a un libro, per il quale
sto espandendo l’ambientazione del mio racconto breve Skullpocket, dove un ghoul
diviene il patriarca di una piccola città del Sud. Ho altri scritti per il
momento in sospeso. Diciamo che ho abbastanza lavoro da tenermi impegnato per
anni.
Grazie,
Nathan Ballingrud!
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