martedì 24 giugno 2014

Liz Williams - Banner of Souls (seconda parte)


Haunt-tech: un’altra invenzione geniale di Liz Williams. Si tratta di una tecnologia davvero affascinante e terrifica allo stesso tempo. Sa quasi di arcana magia più che tecnologia… Inoltre, rientra tra quei termini-sfida per il traduttore. Da un lato, si potrebbe lasciare non tradotto (siamo ormai avvezzi a termini inglesi). A mio avviso però, lasciandolo così, potrebbe non essere restituito del tutto il valore del termine, anche se chi legge magari conosce bene l’inglese. Io lo traduco con “tecno-infestazione”. Il congegno della tecno-infestazione funziona quasi come uno strumento musicale: 

Usa il suono per evocare l’insieme di particelle dello spirito, per chiamarle dal Regno di Eldritch [= regno dei morti] e riassemblarle” (p. 105).
In questo modo è possibile infestare anche oggetti particolari, che “vivono” poi di vita propria, come ad esempio l’armatura che indossa Sogni-Di-Guerra.

Liz, come è nata l'idea della "tecno-infestazione"? Qualcosa in particolare ti ha ispirato?

L.W.: Sicuramente avere a che fare con l'ambiente medico e l'unità neurologica hanno avuto i loro effetti,  ma volevo che vi fosse anche un elemento di magia nera.

(Considerando il suo dottorato in filosofia della scienza è d'obbligo la domanda:)
In che modo i tuoi studi in epistemologia ti aiutano a scrivere science fiction?

L.W.: La nostra comprensione di cosa sia la scienza, del modo in cui possiamo conoscere sorregge sempre ciò che scrivo. Come molti laureati in filosofia, mi interrogo su tutto: da dove vengono le nostre idee? Cos'è che costituisce una prova? In che modo possiamo avanzare delle pretese sulla conoscenza? Tutto questo può non apparire in modo evidente nella mia opera ma sicuramente ne è elemento formante.
 
Traduco l'inizio di Banner of Souls:

Sogni-Di-Guerra stava cacciando i resti degli uomini lungo i pendii dell’Olympus, su Marte, quando s’imbatté nella mandria di spettri. L’armatura si irrigidì all’avvicinarsi della mandria, bisbigliando cautela all’orecchio di Sogni-Di-Guerra, ma inizialmente la guerriera pensò che la stesse mettendo in guardia dalla presenza di uomini, hyenae, forse, o vulpen, o altre creature appartenenti ai Mutati. Si girò, attivando gli aculei a mano dell’armatura, ma non c’era nulla. I freddi pendii focati si estendevano in lontananza, sgombri di ogni cosa tranne che di arbusti sparsi, e si poteva scorgere qualcosa di simile a una vita del deserto concentrarsi intorno ai canali e alle fogne. Lontano all’orizzonte, la colonna della Torre di Memnos puntava in alto, visibile solo ora contro un cielo che si oscurava. Sogni-Di-Guerra divenne cupa. L’armatura rimase in allerta, con le spine da istrice che si formavano e riformavano mentre si muoveva.
‘Cosa?’ Sogni-Di-Guerra disse a voce alta, con impazienza.
‘C’è qualcuno qui’. Rispose l’armatura. A volte parlava con la voce della guerriera che l’aveva impressa per prima, altre invece la voce sembrava più simile a quella di Sogni-Di-Guerra. Questo era il problema con la tecno-infestazione: non si era mai sicuri di cosa fosse davvero reale. E forse non ci si poteva aspettare nulla di diverso da qualcosa che era stato fornito da alieni.
‘Non vedo nessuno’. Disse Sogni-Di-Guerra.
‘Eppure qualcuno c’è’. Insisté l’armatura.
Stavano sorgendo dal suolo, prendendo forma dalla polvere e dalla terra solidificatasi,  divenendo ben presto delineate e reali. Ce n’erano venti o forse più: donne con lunghi corni e gambe inclinate all’indietro, malgrado la posizione eretta. I loro occhi erano rossi, con strette pupille che ardevano d’oro – una fiamma all’interno di carboni. Osservavano Sogni-Di-Guerra con una sorta di placida curiosità, nonostante i loro occhi da demone, e agitavano le lunghe code affusolate.
Sogni-Di-Guerra rimase di ghiaccio. Erano più che illusioni. Poteva percepire il loro odore: l’odore di distese erbose morte da tempo, fumo di legna, e sangue. Odoravano di preda. Come se avesse intuito il pensiero nella sua mente, la mandria si girò compatta e iniziò a correre, muovendosi rapida lungo il pendio finché non fu ingoiata dal crepuscolo crescente. I loro piccoli zoccoli non producevano alcun suono. Si muovevano in silenzio, per poi scomparire del tutto.
Sogni-Di-Guerra le seguì con lo sguardo, sentendosi sciocca. Avrebbe dovuto fare almeno un tentativo per catturarle.
Disse a voce alta: ‘E’ dai tempi antichi che non si vedevano queste creature su Marte. Ho visto gli archivi. Vagavano per la Pianura del Cratere. Nessuno sa chi le ha create, quale laboratorio, o perché.’
‘Erano morte da tempo anche ai miei giorni’. Osservò l’armatura – anch’essa vecchia di cento anni – con una traccia di malinconia.
‘Spettri di mille anni’. Sogni-Di-Guerra rifletté. ‘Ma perché sono apparsi ora? Credo che Memnos debba esserne avvisata. Dovremmo tornare’. Parlò con riluttanza. Non le piaceva uscire per una caccia e tornare a mani vuote, e questa sarebbe stata la sua ultima opportunità. Presto sarebbe stata inviata sulla Terra, che ora brillava sopra di lei nel cielo, blu come un occhio. Si poteva scorgere anche la fauce della Catena: uno scintillio sfocato sulla superficie del mondo. Pensò a lanciarsi nella fauce, per riuscirne fuori sopra a quella stella blu… altra tecnologia aliena. Un labbro di Sogni-Di-Guerra si arricciò.
La prospettiva di quel viaggio fu tuttavia sostituita dal pensiero degli uomini-resti che l’aspettavano tra le rocce. Questo la irritava. Poteva percepirlo anche da dentro l’armatura: un sentimento selvaggio, un bisogno di uccidere, di carne e di morte. Non aveva individuato nessuna preda reale per tutto il giorno, solo spettri e piccole creature della pianura, e aveva pensato che la notte avrebbe potuto darle un’opportunità. I vulpen, almeno, sgusciavano fuori dalle loro tane dopo il tramonto, in cerca di uccelli dattilati che costituivano la loro alimentazione principale.
Con un sospiro, Sogni-Di-Guerra represse l’impulso di proseguire. Si rimise in viaggio, allontanandosi dal lungo pendio coperto di pietre, verso la pianura, dove l’attendeva la Torre di Memnos.

A proposito di questo personaggio, immagino sia un problema solo mio se ogni volta che leggo il suo nome (in originale, Dreams-of-War) subito mi parte nel cervello Enter Sandman dei Metallica (“Dreams of war, dreams of liars, Dreams of dragon's fire And of things that will bite…”)?

L.W.: Non conosco nessuna loro canzone infatti! E' una coincidenza, però è divertente.

Il mio personaggio preferito èYskatarina, il tuo qual è?

L.W.: Adoro Sogni-di-Guerra, che in realtà è un po' ottusa. Preferisce lo scontro alla discussione! Mi sono divertita a scrivere su di lei.

Mi soffermerò su un personaggio in particolare, ovvero su Yskatarina Iye. Devo ammettere che ho trovato questa parte piuttosto disturbante... Traduco dunque il secondo sotto-capitolo del primo capitolo (pp. 6-10):

Yskatarina Iye era stata chiamata così per i suoni che aveva emesso emergendo dalla guaina-sviluppante: prima un sibilo, poi un grido. Una figlia dei clan laboratorio, cresciuta nella Torre Fredda di Nightshade, alla fine della Catena e al limite del sistema solare: un luogo davvero distante dal sole.
Il suo nome – quello da bambina, non l’appellativo del suo clan di Nightshade – si rivelò difficile da rimuovere, e Yskatarina l’aveva così mantenuto anche in età adulta, insieme all’Animus che cresceva accanto a lei in un bozzolo non più grande di una libellula. L’Animus, generato dall’antica progenie genetica del clan esattamente come era accaduto per Yskatarina, non aveva alcun nome. Yskatarina aveva provato a dargliene uno, ma nessuno sembrava adattarglisi.
Sin da quando era piccola, sua zia Elaki le aveva detto quanto fosse fortunata ad avere un Animus: le donne degli altri pianeti non potevano essere unite a un maschio, dal momento che ne rimanevano così pochi e per di più inferiori. Era una fortuna, Yskatarina lo sapeva, che le Anziane di Nightshade cercassero ancora di tornare a come era prima, quando uomini e donne camminavano per il mondo insieme, quando entrambi i generi vivevano in armonia, cercando il proprio altro sé. E l’Animus non era un maschio umano (il genere maschile si era rivelato troppo debole), ma qualcosa di meglio.
Il suo Animus le sussurrava all’orecchio mentre dormiva, e durante tutta la lunga malattia che aveva segnato la sua infanzia: sogni deliranti, feroci inquietudini e infestazioni modificate che le avrebbero consentito di non soffrire quando l’ora sarebbe giunta, ma anzi, di darle il benvenuto. Aveva trascorso l’eterna notte di Nightshade con l’Animus accovacciato accanto alla branda come un ragno mormorante, che tesseva reti di parole.
La trasformazione per poco non la uccise. Sua zia le aveva spiegato che l’avrebbe resa più forte, ma Yskatarina non capiva cosa significasse “trasformazione”.
‘In cosa devo essere trasformata?’ aveva chiesto a Elaki. Ma la zia si era limitata a risponderle ‘Vedrai’.
Quando il momento giunse, Yskatarina, piccola sagoma frastornata, giaceva nell’oscurità scintillante della matrice a ultravioletti mentre l’engramma eseguiva la sua riscrittura: un processo di modifica alchemica difronte cui lei era completamente inerme.
I raggi ultravioletti si spensero in uno scintillante cubo di aria. Yskatarina sbatté gli occhi, svegliandosi. Si sentiva come se fosse stata strizzata lungo un’enorme distanza, dilaniata attraverso resti di soli roventi. C’era un odore di fuoco e una terribile tristezza, un peso. Tentò di sollevare la testa, ma sembrò troppo grande per il suo fragile collo. Qualcuno si curvò sopra di lei. Yskatarina alzò lo sguardo, ma ci vollero alcuni istanti prima che la strana figura che le fluttuava davanti si solidificasse in tratti umani.
Vide un lungo volto, le guance rigonfie in borse piene di vene ai lati di un sottile naso adunco. La pelle era liscia, levigata in modo innaturale, e riluceva come porcellana. Gli occhi erano posti in profondi incavi e iniettati d’oro. I capelli erano ariosi: di un colore nero-sporco, attorcigliati in sottili riccioli che uscivano fuori da un alto cappello.
Poi la visione di Yskatarina cambiò e si accorse che si trattava di sua zia Elaki che la scrutava dall’alto. Eppure, per un momento le era sembrato che ci fosse qualcun altro a guardare dagli occhi di Elaki, qualcuno che aveva gridato con orrore.
‘Tu?’. Strillò Elaki.
‘Zia?’. La sua voce risuonò fievole, un lieve gracidio. Elaki si allungò e la scrollò.
‘Sei tu, non è vero? Ti riconoscerei ovunque’.
‘Zia, cosa c’è che non va?’. Qualcosa si dimenò nella testa di Yskatarina, rifuggendo dalla rabbia di Elaki, scavando in profondità, per nascondersi nei remoti canali della mente della ragazza.
Il volto di Elaki divenne assorto e algido, come se avesse raggiunto una decisione cruciale. Si voltò e parlò a qualcuno invisibile agli occhi di Yskatarina, forse l’Animus Isti, che la seguiva sempre.
‘Prepara la matrice di nuovo. Ci sono delle modifiche da fare, ancora’.
L’oscurità si diffuse sopra Yskatarina come un’ala. Ci fu una sensazione di squarcio, di lacerazione, un fulmine saettò nella sua testa. Le sembrò di essere spaccata in due, e il dolore la mandò urlante giù nell’abisso.
Rimase priva di sensi per un lungo periodo. Finalmente, riemergendo da quell’incoscienza, si ritrovò non più nella stanza degli ultravioletti, ma nella sua camera. Si sentiva la testa come una grande sacca bollente, troppo pesante da alzare. Sollevò una mano per toccarsi la fronte, ma non accadde nulla. Spaventata, Yskatarina cercò di muovere le sue braccia e le sue gambe. Non vi fu alcuna sensazione. Chiamò con un grido Elaki.
‘Ah! Sei sveglia’. Disse la zia, entrando di fretta.
‘Non riesco a sentire le mie braccia, e le mie gambe!’.
Elaki posò una mano umida sulla fronte di Yskatarina.
‘E’ perché non ci sono più, temo. Sei stata affetta da una rara infezione meningea dopo il processo di trasformazione, e i tuoi arti sono stati danneggiati dalla cancrena. Siamo stati costretti a rimuoverli’.
‘Zia?’. Sussurrò Yskatarina, piena di terrore e sotto shock.
‘Costruiremo dei nuovi arti per te’. Promise Elaki. Il suo volto si addolcì in modo quasi impercettibile, ma c’era qualcosa dietro ai suoi occhi che agitò Yskatarina oltre misura. ‘Arti migliori. Dunque non fare tante storie’.
Quando Elaki uscì dalla stanza, Yskatarina spostò lo sguardo vitreo in cerca dell’Animus sopra di lei, in forma di crisalide. Pendeva dal soffitto del laboratorio come un’immobile forma nero-argentea, appesa a un pezzo d’osso sviluppante. Dopo la sua esperienza, Yskatarina non si aspettava che l’Animus ne emergesse vivo, invece lo fece, sgusciando fuori da quel che restava della crisalide: aracnide, scorpioneo, malevolo.
Yskatarina seppe allora che non c’era nulla che non avrebbe fatto per tenere l’Animus accanto a sé. Non erano forse stati sempre insieme? E dopo la spaventosa esperienza della trasformazione, l’Animus era l’unico essere su cui poteva fare affidamento.
Ci fu anche un’altra modifica. Prima, Yskatarina aveva timore di sua zia: temeva il tocco delle sue mani pallide e paffute, odiava il modo in cui i suoi grandi occhi la guardavano con quel gelido calcolo. Dopo la trasformazione, tuttavia, divenne consapevole di quanto amasse sinceramente Elaki. Questo sentimento la sopraffaceva. Rabbrividendo, si sedette sulla branda, piena di nostalgia, e quando Elaki tornò nuovamente a trovarla, gettò le sue nuove braccia intorno alla figura velata della zia. Elaki la allontanò con un sussulto.
‘Devi imparare a manovrare i tuoi arti con più attenzione, Yskatarina. I servomeccanismi sono potenti’.
‘Grazie zia. Grazie’. Ma non avrebbe saputo dire per cosa stesse ringraziando Elaki. Le venne in mente, in modo indistinto, che questo avrebbe dovuto infastidirla, ma in qualche modo lo ignorò.

Un altro estratto che voglio proporvi è quello che vede Sogni-Di-Guerra aggirarsi in un mercato della carne sulla Terra. Diciamo che non è il tipico mercato dove di solito facciamo spesa… (p. 147):

Il pavimento era reso scivoloso dal sangue nero che sgocciolava dalle carcasse appese a griglie uncinate attaccate al soffitto. Sogni-Di-Guerra alzò lo sguardo e vide dei cilindri di carne: torsi senza testa attaccati a bulloni di metallo. Ogni torso terminava con un troncone levigato. Erano cose cresciute in taniche, vive solo nel senso più crudo del termine, sviluppatesi in vasche che ricoprivano il tetto del mercato e poi tirate fuori per essere dissanguate e macellate. Sogni-Di-Guerra si domandò in modo distratto che tipo di animali fossero stati in origine, quale combinazione di geni fosse stata mescolata per ottenere queste enormi salsicce di carne, dall’aspetto non uniforme: alcuni cilindri erano scuri e chiazzati, con pallide striature di grasso, mentre altri erano composti di una carne bianca traslucida, con venature simili agli anelli degli alberi. Un sottile rivolo di sangue scorreva in un canale sotterraneo rialzato, che portava a una fila di vasche.

Questo mercato della carne mi ha subito richiamato alla mente quello presente (seppur in misura minore, c’è giusto un accenno) nel precedente libro di Liz Williams, Nine Layers of Sky. Hai per caso un'attrazione particolare per questo tipo di posti?

L.W.: In realtà non ho un particolare interesse per questi posti. Ne ho visitato uno a Hong Kong, un'esperienza piuttosto agghiacciante, e poi ho visitato anche il mercato principale di Almaty, Kazakhstan, che è quello in Nine Layers.

Ne approfitto per dire che dedicherò il prossimo post proprio a Nine Layers of Sky.

Tornando a BoS, in che modo è connesso con Winterstrike, tuo romanzo del 2008? 

L.W.: In realtà Winterstrike è un prequel. E' ambientato nello stesso mondo ma molto tempo prima. Mi diverto a scrivere di Marte e probabilmente scriverò anche qualche racconto con questa ambientazione.

 Leggo sempre i tuoi post su Facebook e so che lavori sempre a qualcosa di nuovo. Puoi darci qualche anticipazione?

L.W.: Sto lavorando all'ultimo (per ora) romanzo sull'Ispettore Chen, e anche su una saga familiare ambientata nel Somerset, che ha dei forti elementi fantastici. E' qualcosa di completamente diverso!

Liz Williams, grazie mille della tua gentilezza e disponibilità, il prossimo post è ancora su una tua fantastica creatura!

2 commenti:

  1. I brani che ho letto sono affascinanti! Quando una formazione filosofica e scientifica si unisce a una creatività così spiccata i risultati sono sempre notevoli. Aspetto il prossimo...Grazie di questa bella scoperta!

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    1. Ottima osservazione! Sono contenta ti sia piaciuto questo libro. A breve pubblicherò un post su un altro libro di Liz Williams e poi sto già lavorando al prossimo autore!

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